
OpenAI ha pubblicato il suo primo grande studio su come viene usato ChatGPT e i dati rivelano più di una sorpresa. Le conversazioni non riguardano soltanto il lavoro, anzi: la maggior parte dei messaggi nasce da esigenze personali, con differenze marcate tra età, genere e tipologia di richieste. Un quadro che ci permette di capire meglio come questo strumento stia entrando nella vita quotidiana di milioni di persone, anche se forse nel modo “sbagliato”.
Il report di OpenAI mostra che la fascia più giovane resta la più attiva: quasi la metà dei messaggi analizzati proviene da utenti sotto i 35 anni. Questa centralità dei giovani evidenzia una maggiore familiarità con gli strumenti digitali e una maggiore propensione alla sperimentazione rispetto alle generazioni più anziane, il che è del tutto normale. Poniamoci la semplice domanda: i nostri genitori usano ChatGPT? La risposta sembra ovvia nella maggior parte dei casi.
I dati raccontano anche un cambiamento nel tempo. Nel 2024 oltre la metà delle conversazioni riguardava attività lavorative, mentre oggi solo una minoranza ha questa finalità. A giugno 2025 il 73% dei messaggi non era legato al lavoro, segno che ChatGPT viene sempre più percepito come un compagno quotidiano e non solo come un supporto professionale.
Come lo usiamo
Le interazioni con ChatGPT si dividono in due grandi categorie: richiesta di informazioni e consigli da una parte, svolgimento di compiti dall’altra. E la prima è di gran lunga la più diffusa.
Circa metà dei messaggi serve a ottenere chiarimenti, spiegazioni o un qualche tipo di consiglio pratico. Solo un terzo riguarda invece attività concrete da delegare al modello, come la scrittura di testi o la generazione di codice.
Questo cambia però in base al contesto. Quando parliamo di uso professionale, la scrittura rappresenta il 40% delle conversazioni, diventando lo strumento principale per chi lavora con le parole. Al contrario, nelle chat personali la scrittura scende al terzo posto, superata da richieste di supporto pratico o di informazioni generali. Questo evidenzia come lo stesso modello venga utilizzato in modi diversi a seconda delle necessità del momento, il che in fondo ha una sua logica.
Un altro aspetto rilevante del report riguarda la distribuzione di genere. Se prima erano soprattutto gli uomini a usare ChatGPT, oggi la tendenza si è ribaltata: il 52% delle conversazioni proviene da utenti con nomi femminili, contro il 37% registrato a inizio 2024.
Cambiano anche le modalità di utilizzo. Le utenti con nomi femminili si concentrano maggiormente su scrittura e consigli pratici, mentre gli utenti con nomi maschili preferiscono la ricerca di informazioni tecniche e l’uso di funzioni multimediali.
Questo ribadisce il fatto che il modello viene percepito in modi diversi a seconda delle esigenze e dei contesti, il che ci sembra un buon modo di integrare l’IA nella nostra vita. Ma attenzione: questo non ci dice nulla su quanto efficace sia l’uso di ChatGPT in tutti questi contesti, visto anche la difficoltà nel misurare una cosa del genere, legata al progredire dei modelli e anche alla qualità dei prompt scritti dagli utenti.
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