
Si chiama FilosofIA ed è un libro di Matteo Giarrizzo, che nella vita è responsabile Media & Digital (ma soprattutto appassionato di filosofia), e si basa su un’idea semplice quanto creativa: parlare di filosofia con l’IA, allo scopo di conoscerla meglio, di comprenderla e di riflettere sulla direzione che potrebbe, e dovrebbe, prendere nel prossimo futuro.
I temi toccati nelle oltre 200 pagine del libro, che vedono Giarrizzo dialogare con ChatGPT che fa un po’ da Virgilio in questo viaggio meta-filosofico, sono numerosi e su molti di questi si potrebbe accendere un dibattito che richiederebbe un altro libro solo per essere sviscerato.
Ma anche se la risposta non è (e non può essere) sempre unica e oggettiva, è lo stesso interrogarsi su certe tematiche a essere importante, perché troppo spesso ci facciamo trascinare dalla corrente verso una direzione che non per forza è la migliore.
Alcuni esempi? La sostenibilità ambientale della continua rincorsa alle nuove tecnologie, non solo quella dell’intelligenza artificiale. Probabilmente tutti ne hanno sentito parlare almeno una volta, ma quanti di noi si sono mai soffermati a fare qualcosa di concreto al riguardo? Quanti di noi riciclano i propri device, oppure evitano di utilizzare l’IA per questioni triviali? Si fa presto a pensare che sia sempre un problema lontano da noi, ma è proprio dalla riflessione che possono arrivare dei cambiamenti, anche nel nostro piccolo.
Ci sono poi tanti temi che abbiamo trattato anche qui su SmartWorld in varie occasioni: dalla sempre minore gratuità di internet (“se non stai pagando per un prodotto, quel prodotto sei tu”) ai mutamenti che l’IA sta causando alla sostenibilità stessa del web per come l’abbiamo conosciuto finora.
Se ci si concentra solo su competenze tecniche prima o poi una macchina farà meglio. Ma se il lavoro mette al centro ciò che è veramente umano – connessione, empatia, creatività – allora l’uomo resterà insostituibile.
Ma l’aspetto che mi ha più coinvolto, quello nel quale mi sono maggiormente riconosciuto nelle parole di Giarrizzo, deriva dal dualismo che molti di noi stanno vivendo. Da una parte appassionati di tecnologia, e come tali assidui utilizzatori e promotori di essa (magari anche lavorativamente parlando), dall’altra genitori di figli che stanno crescendo immersi in questa “realtà 2.0”, fin dalla più tenera età. (E qui non mancano diverse, doverose, sferzate contro il mondo scuola / lavoro, che però non vado ad approfondire ulteriormente perché rischierei di accalorarmi troppo – NdR)
E quand’è che ci fermeremo mai a riflettere in questa corsa al progresso tecnologico? Quand’è che tracceremo una linea? L’editing genomico ci sta bene, per esempio? Non è che rischiamo davvero di turbare l’equilibrio naturale delle cose ancora di più di quanto non abbiamo già fatto? Perché madre natura ha dimostrato con milioni di anni di evoluzione di sapere ciò che fa; noi uomini un po’ meno.
Ia: “Kant direbbe che il valore morale della tecnologia non dipende solo dal suo potenziale o dalle sue funzioni, ma soprattutto da come questa viene integrata nella nostra vita e nelle relazioni.”
La maggior parte delle osservazioni più acute devo dire che sono quelle dell’autore di FilosofIA, ma ogni tanto ce ne sono state alcune da parte di ChatGPT che hanno lasciato il segno, come quella qui sopra, che ci spinge a meditare sull’abuso che facciamo anche a noi stessi con un uso eccessivo della tecnologia. Se lascio che sia un’IA a raccontare la favola della buonanotte a mia figlia, cosa ne è del mio ruolo di padre?
La pigrizia, da una parte, è spesso motore del progresso, ma dall’altra è il più grande pericolo che deriva da ogni nuova tecnologia. Prima facciamo mezzi di trasporto sempre più compatti ed efficienti, e poi ci ricordiamo che per stare bene dobbiamo usare anche le nostre gambe. Prima creiamo delle macchine in grado di “pensare” e poi ci ricordiamo che se non lo alleniamo è il nostro cervello che si atrofizza. Prima facciamo i social per rimanere connessi e poi raccontiamo una realtà che non esiste e alla fine ci isoliamo o chiudiamo in una bolla. E gli esempi potrebbero continuare.
Qualcuno potrebbe obiettare che il killer non è la pistola ma chi preme il grilletto, ed è vero: sta a noi non scottarci con il fuoco che i moderni Prometeo ci mettono a disposizione, ma se è vero che l’ozio è il padre dei vizi, la moderna tecnologia di vizi ce ne regala anche troppi e la nostra volontà è messa a continua prova. O per meglio dirla con le parole dell’IA:
Creare dipendenza è una delle cose che noi algoritmi sappiamo fare meglio.
Alla quale Giarrizzo replica dando voce a tutta la nostra frustrazione:
A volte sento il bisogno di un po’ di passività, di momenti in cui non sono un superuomo, ma semplicemente mi lascio andare. E in quei momenti la tecnologia si presta perfettamente. Scrollare lo smartphone, guardare video su YouTube, sbirciare la vita degli altri sui social… è tutto così facile.
Del resto questa è la definizione stessa di tentazione: se non fosse tale, non ci verrebbe tanta voglia di cedervi. Ecco perché l’invito a fermarsi a riflettere su cosa stiamo davvero facendo è più di un consiglio: può essere un’ancora di salvezza. Non è che in realtà stiamo creando solo delle “copie sbiadite di relazioni umane“? Per questo dobbiamo chiederci se stiamo costruendo dei legami autentici o solo cercando di sublimare un vuoto, perché a lungo andare rischiamo di confondere il secondo per i primi.
Del resto non sarebbe la prima volta che una bugia ripetuta a lungo può diventare verità.
E in tutto ciò non dimentichiamo che in ultima battuta “siamo noi stessi che, volontariamente, lasciamo tracce dei nostri comportamenti online, accettando di essere influenzati da sistemi automatizzati” che col tempo sanno tutto di noi e che, per di più, sono quasi sempre in mano ad aziende private, che per nessuna ragione dovrebbero avere al primo posto l’interesse collettivo.
Bellissimo in questo senso l’esempio di Sartre, che per essere coerente al suo rifiuto del sistema e del conformismo rifiutò il premio nobel. Noi quanti “no” abbiamo detto che siano anche solo lontanamente di tale portata?
E sia chiaro, perché non passi il messaggio sbagliato, che la sfida non è individuale ma collettiva: un mondo consapevole è quello in cui la tecnologia può diventare uno strumento al servizio dell’umanità, non il contrario. È a questo che serve un libro come FilosofIA. E per chiudere proprio con una delle riflessioni migliori partorite dall’IA (il che, forse, la dice lunga):
Essere umani non è un problema da risolvere ma un’esperienza da vivere. […] E forse è proprio lì, in quella libertà di essere indefiniti, che sta la bellezza dell’identità umana.
L’articolo Il libro che vuole farci capire l’IA, e che forse ci aiuta a capire meglio anche noi stessi sembra essere il primo su Smartworld.